domenica 2 aprile 2023

Marco Orlando, fumettista e scrittore


Marco Orlando, sceneggiatore di fumetti e scrittore

Sono Marco Orlandosceneggiatore di fumetti e scrittore di notte, digital marketing specialist di giorno.

Sì, ho una doppia vita come ogni buon supereroe che si rispetti. D'altronde, sono cresciuto leggendo fumetti di supereroi e questo ha avuto un'influenza enorme su di me.

Ho frequentato il corso biennale Scrivere un Libro tenuto da Carola Susani e Francesco Pacifico presso la Scuola del Libro di Roma e il Training Camp Comics tenuto da Tito Faraci e Andrea Cavaletto presso la Scuola Holden di Torino

Come sceneggiatore ha firmato le serie 221b Baker Street, 10 Barnes Street, ISE Salgari (Cagliostro E-Press) e Zakk Void (Spectre Edizioni), oltre a progetti antologici con i collettivi Masnada e Ronin. 

Come scrittore ha preso parte a due raccolte di racconti pubblicate da Historica Edizioni.

Dal gennaio 2023 è nello staff della casa editrice AF Creative.

Nel settembre 2023 uscirà Fango e Cenere, il mio fumetto che racconta le Quattro Giornate di Napoli, edito da Homo Scrivens.

giovedì 28 giugno 2018

Il mio problema con il monologo su Superman di Kill Bill



"Fico, eh?"

"Tarantino che parla di supereroi, cioè: il top"

"Ecco spiegato il supereroe in 2 minuti"


Beh, no. 

Premessa: non ho visto Kill Bill (né il vol. 1 né il vol. 2). Sono convinto che questa scena sia funzionale al racconto, però non è questo il punto. 

Il punto è prendere questo dialogo e farne la chiave di lettura della figura del supereroe "perché l'ha detto Tarantino, che è figo". 

Premessa 2: Non l'ha detto Tarantino, ma un personaggio di un film di Tarantino, c'è differenza. 


Il problema di questo monologo estrapolato dal suo contesto è che è sbagliato, o meglio, superficiale. 

Dire che Superman nasce Superman e "diventa" Clark Kent significa fermarsi alla superficie, guardare solo le figure, commettere lo stesso errore di chi sostiene che Capitan America sia il simbolo della propaganda americana. 

Come dicevo un paio di settimane fa, non sono i superpoteri a rendere un eroe un supereroe, ma la sua causa, la sua missione. 

Superman esiste perché il razzo da Krypton è caduto nel Kansas ed è stato trovato dai coniugi Kent, che l'hanno cresciuto come loro figlio. 

In poche parole: Superman esiste perché è cresciuto come Clark Kent. 

Mark Millar, in quel gioiellino di Superman: Red Son (a proposito, compratelo), ha immaginato cosa sarebbe successo se l'astronave di Superman non fosse caduta negli USA ma in Unione Sovietica. Risultato? Assenza di Clark Kent e, di conseguenza, assenza di Superman per come lo conosciamo. 

Assenza del padre dei supereroi. 



giovedì 14 giugno 2018

Che cos'è un supereroe?

"Tu ci credi ai supereroi?"
"Ai super-eroi no, agli eroi si"

Giugno 2002, se non vado errato. Dialogo tra me e la professoressa di inglese al termine del mio esame di terza media, dove avevo concluso l'orale con la parte sull'educazione artistica, portando il fumetto supereroico.


Sono molto legato alla figura letteraria del supereroe, un po' perché i supertizi sono stati i protagonisti delle letture della mia infanzia, un po' perché mi hanno accompagnato da sempre.

Da bambino amavo perdermi in quei mondi fantastici, scoprendo quanto fossero incredibili certi personaggi. 

Con il passare degli anni, oltre alle mazzate che si suonavano buoni contro cattivi, ho iniziato a prestare attenzione alla quotidianità dei personaggi: ai loro problemi di tutti i giorni nei quali proiettavo i miei. 

Durante gli ultimi anni di liceo e i primi di università, trovavo stimolante la struttura narrativa e la continuità di tante storie interconnesse.

Mi sono laureato alla triennale con una tesi sulla figura del supereroe nell'immaginario americano e sull'importanza del fumetto come medium per quest'ultimo. 

Insomma, in un modo o nell'altro, i supereroi sono stati una costante nella mia vita.

Da qui l'idea di dedicare una serie di post a questa figura, iniziando dalle basi: che cos'è un supereroe?

O meglio, cos'è che rende un eroe un "super" eroe?

La risposta più immediata, potrebbe essere: i super poteri.

Si tende a indicare, infatti, il 1938 come l'anno di nascita dei supereroi, per via dell'esordio di Superman, "padre" dei supereroi in senso moderno proprio per via dei superpoteri.


Action Comics 1, esordio di Superman, 1938

Personalmente, non sono mai stato dell'idea che fossero i super poteri a definire il supereroe, ma la missione: difendere e proteggere una comunità di persone (che siano gli abitanti di un quartiere, di una città o del mondo intero) senza pretendere nulla in cambio e facendolo in maniera continuativa.

Stante queste caratteristiche, a memoria il primo supereroe della storia non è Superman, ma Zorro.


Sì, è Banderas. Quando al posto di parlare con le galline faceva film fighi




lunedì 28 maggio 2018

Il mio ARFestival

Per me l'ARFestival è iniziato sabato 28 aprile, con una Masterclass di sceneggiatura.

Al termine della lezione, gli sceneggiatori-docenti hanno improvvisato una sessione di firme e dediche su alcuni materiali che avevano a disposizione.

Una breve fila, una chiacchiera di un minuto scarso e una dedica che in sette parole racchiude tutto ciò di cui avevo bisogno.





C'è stato, poi, il Festival vero e proprio. Durante il quale:

- Sono stato allo stand del Collettivo Ronin, dove ho trovato colleghi agguerriti con i quali continuare a costruire storie.
- Ho rivisto amici e ne ho conosciuti di nuovi.
- Sono stato preso a schiaffi (e quanto ci voleva!).
- Ho chiacchierato con un mio idolo.
- Ho respirato la mia passione a pieni polmoni.

La fiera la chiudo idealmente come l'avevo iniziata, con una dedica inaspettata e necessaria (per me).



lunedì 21 maggio 2018

Oltre il limite

Facendo un conto per sommi capi, direi che ogni mese ho a disposizione 52 ore da dedicare alla scrittura. Considerando una giornata lavorativa di 8 ore, ogni mio mese da sceneggiatore corrisponde, a stento, a una settimana di lavoro.

Anche per queste ragioni, avevo deciso di limitare la mole di lavoro, ridurre il carico. Dovevo dedicarmi a poche storie, dando il massimo per queste.

Ci sto riuscendo?

Sì e no, ma forse più no.

Un po’ perché fare storie non è come servire ai tavoli di un ristorante, non si tratta di un lavoro dove è possibile “spegnere il cervello” e andare con il pilota automatico. O meglio, se è possibile, io non ho ancora trovato il modo di farlo.

Un po’ perché anche se una storia è accantonata, continuo a pensarci, a fare ipotesi, a cercare soluzioni narrative. In pratica, a lavorarci.

La motivazione principale, però, temo sia un’altra: la voglia di spingermi sempre al limite e tentare di superarlo, ponendo il limite ancora più in là.

Ho sempre portato avanti, con orgoglio, la passione per la narrazione in parallelo ai miei studi universitari prima e ai lavori nel mondo della comunicazione poi.

Tornare a casa dopo una conferenza stampa e mettermi al lavoro su una sceneggiatura, magari facendo le ore piccole, mi faceva stare bene.

E mi fa stare bene tuttora (si ok, mi fa anche incazzare).

Il punto è che si tratta di una cosa alla quale tengo parecchio, quindi cercherò sempre di infilarla nella mia vita e di infilarcene quanta più possibile.

lunedì 14 maggio 2018

Essere un wannabe

"In inglese, il termine wannabe (contrazione di want to be, "voler essere") si riferisce a chi aspira a qualcosa (in particolare a essere qualcuno, a ricoprire un certo ruolo), o finge di essere qualcuno o ricoprire un certo ruolo."


Sono un wannabe da diversi anni (non voglio impegnarmi a contarli, altrimenti mi incazzo). 
Mi ritengo, comunque, un wannabe maturo e, in quanto tale, quella del wannabe è una situazione che conosco abbastanza bene. 

Pertanto, ho deciso di scriverne. 

Sul tema, ho una storia in fase di gestazione nella quale, per certi versi, mi sto auto-psicanalizzando. 

Si tratta di una storia che mi sta mettendo alla prova. 

Mi sta consentendo di affinare la mia sceneggiatura.

Mi sta facendo incazzare.

Mi sta piegando e a volte spezzando. 


Per tutte queste ragioni (più altre che non ho voglia di condividere), è la storia alla quale tengo di più in questo momento. 

lunedì 7 maggio 2018

Zakk Void #1 all'ARF Festival di Roma


Una città allo sbando, senza alcuna regola. 

Una città dove l’unico linguaggio consentito è quello della violenza, del più forte contro il più debole. 

No, non sto parlando di Roma, ma di Rot, l’immaginario teatro delle avventure di Zakk Void, un personaggio creato più di anno fa da Pietro “Pitt” Rotelli e da me.

A Rot vige la legge del più forte, i più beceri istinti vengono assecondati senza troppi problemi, violenza e morte sono all’ordine del giorno. 

Qui, l’arte non esiste, è superflua.

In un contesto del genere, l’introduzione dell’immagine (e quindi una prima idea embrionale di arte), sarebbe una vera e propria rivoluzione. 

Ma le rivoluzioni sono sempre positive?




Zakk Void esordirà all’ARF Festival di Roma il prossimo 25 maggio, con il collettivo Ronin. 

sabato 28 aprile 2018

Ho scoperto cos'è la felicità

Sono tre settimane che ragiono sulla felicità, se hai perso le puntate precedenti puoi andare qui, poi quo e infine qua (ah ah!).

Se volete, andate a leggere (o rileggere).

Altrimenti non fa niente. Tanto son tutte cazzate, perché la felicità esiste.

Semplicemente, stavo guardando dalla parte sbagliata.

La felicità è un attimo, spesso della durata di pochi secondi, durante il quale non conta più nulla, perché tutto si blocca e non si riesce a pensare.

La felicità è irrazionale e più tentiamo di darle dei confini, più lei se ne libera accartocciandoli.

La felicità è una rapida espressione delle persone a noi care e l’unico modo che abbiamo per essere felici è portarle a compiere un semplice gesto quanto più frequentemente possibile.

La felicità, in sostanza, è questo:











sabato 21 aprile 2018

La felicità non esiste per colpa dei supereroi


La letteratura popolare americana, in particolare quella supereroica, mi ha dato tanto, praticamente tutto se guardo alle mie passioni.

Però, riflettendoci, mi ha anche tolto qualcosa: la felicità.

Come accennavo la settimana scorsa, infatti, se penso alla felicità come a un senso di appagamento totale, allora questa non esiste.

Credo che, per quanto mi riguarda, mi sia stata portata via dai supereroi e dal mio amore per loro.



I supereroi mi hanno fatto crescere con il mito del self-made man, della rivincita dei deboli, delle cocenti sconfitte che diventano le basi per i migliori successi.

Il supereroe, in qualche modo, lotta sempre per farcela. È una sua caratteristica intrinseca, è ciò che lo rende super.

Subisce sconfitte.

Perde persone care.

Vede amici che diventano nemici e viceversa.

Ma non molla mai.

Non smette mai di credere nella sua causa, anche se questa non avrà mai fine, perché bene e male sono come yin e yang: uno non può esistere in assenza dell’altro.

Inconsciamente, forse, adatto la forma mentis del supereroe al mio quotidiano.

Se il supereroe salva una vita non può fermarsi e festeggiare, perché altri potrebbero essere in pericolo; allo stesso modo, se ho un lavoro che mi piace, non posso fermarmi perché vorrei di più, e anche altro.


Quindi, alla fine, ho fatto male a leggere e ad appassionarmi così tanto?

No, per nulla.

sabato 14 aprile 2018

La felicità non esiste

Per anni ho portato avanti la tesi che la felicità, in fondo, non esiste.
Il ragionamento era molto semplice: se mi fermo a pensare alla mia vita, posso dirmi felice?

La risposta era sempre no.

Anche se stavo bene, se tutti gli aspetti del mio quotidiano andavano per il verso giusto, non potevo considerarmi “felice”, perché alcune cose potevano andare meglio, quindi non mi sentivo pienamente realizzato.

Avrei voluto avere voti più alti a scuola, o faticare di meno su certe materie.

Mi sarebbe piaciuto giocare meglio a basket e aiutare la squadra a vincere più partite.

E così via.


Non ero felice, perché mi mancava sempre qualcosa.

Con il passare degli anni, le cose non sono cambiate.

Dopo aver cambiato 15 datori di lavoro in poco più di due anni, con contratti da massimo 5 mesi, ho finalmente una prospettiva lavorativa stabile per un periodo medio lungo.

Sono felice?

No, perché vorrei essere più preparato sul lavoro.
Perché vorrei avere più tempo da dedicare alla scrittura e perché penso che gli 80 minuti circa che impiego per andare e tornare dall’ufficio ogni giorno sia tempo sottratto alla lettura, al divertimento, al relax.

In generale, vorrei sempre qualcosa in più e, dato che non credo di essere tanto diverso dal resto del genere umano, immagino sia una sensazione che proviamo tutti.

Pertanto, la felicità non esiste.


Forse.


sabato 7 aprile 2018

Che cos’è la felicità?

“Scrivi qualcosa sulla felicità, tu saresti in grado di farlo”.

Una sera di fine estate, tre amici neanche maggiorenni, una birra ciascuno e tante chiacchiere, prima di arrivare a parlare della felicità.

Uno dei tre ha la passione per la scrittura e una sensibilità che appare precoce (e probabilmente lo è) a tutti i suoi coetanei. È proprio a lui che viene rivolta la frase di inizio post.

La risposta che seguì non la ricordo con precisione, forse perché per un attimo mi estraniai da quel contesto, come se il tempo si fosse fermato.

Per scrivere sulla felicità bisognerebbe conoscerla, quindi: che cos’è la felicità? Quando posso ritenermi effettivamente felice?

Dubbi e domande che mi portai dietro per un bel po’.

In quel periodo, infatti, iniziai pensare che scrivere mi faceva stare bene e che mi sarebbe piaciuto farne la mia professione. Per riuscirci, credevo che quello di scrivere sulla felicità fosse una tappa che, prima o poi, chi ama la narrazione e vuole lavorare con questa e per questa dovesse in qualche modo affrontare.

A memoria, mi pare di non aver mai trattato il tema “felicità”.
Il Marco adolescente avrebbe detto che ho ancora tanta strada da fare.

mercoledì 28 marzo 2018

Quindi, alla fine, con questo blog che ci faccio?

Diversi anni fa passai un periodo non particolarmente facile.
Chiacchierando con un amico, mi consigliò di provare a dedicare del tempo a ciò che mi faceva stare bene in quel momento: scrivere.

Seguii il suggerimento e, data la mia ossessione per quaderni e bloc-notes, destinai un piccolo quaderno a questa specifica attività.
Lo portavo sempre con me, era il mio “quaderno terapeutico”, la mia via di fuga dalla realtà, la mia seconda stella a destra.

Ecco, Pagina Bianca sta assumendo, in qualche modo, lo stesso ruolo di quel quaderno.

Sono in blog-terapia.

mercoledì 21 marzo 2018

Blogging: seguire o no le best practices?

Una delle best practices da seguire nella gestione di un blog è quella di dedicarsi ad uno specifico argomento.

Ecco, non lo farò con Pagina Bianca.

Da anni soffro di una schizofrenia professionale: sono laureato in comunicazione ma ho una formazione anche in scrittura creativa (sia autodidatta che certificata).

Pertanto, visto che non parlo di cose che non conosco, il blog dovrebbe essere relativo a uno di questi due aspetti.

Però a fare così il serioso rischio di annoiarmi. Anzi, già mi sono annoiato.

Probabilmente ho annoiato anche te.

Quindi per oggi la chiudo qui.


Alla prossima.



Scusa.


mercoledì 14 marzo 2018

Meglio il Blog o la Pagina Facebook?

Come accennavo in precedenza, dipende dalle esigenze.

Si tratta di due strumenti diversi, pertanto diversi sono anche gli usi.

Per spiegare la differenza tra i due ambienti, ho trovato una metafora abbastanza efficace:

- Facebook è una piazza pubblica. Puoi affacciarti dal balcone e guardare ciò che fanno gli altri, parlare con il tuo vicino o esporre ciò che vuoi.
- Il Blog è il salone di casa: chi ti conosce può venire a trovarti, sa dove accomodarsi, dove poggiare il bicchiere, dove cercare il telecomando. 


La metafora fotografa il presente, è efficace per spiegare quello che Blog e Facebook sono oggi, nel 2018. Essendo il web 2.0 materia alquanto liquida, è tutto in continua evoluzione.

Seguendo la metafora, è evidente come il pubblico che prendi in piazza (mediamente numeroso) è differente da quello che ti viene a trovare in casa (più esiguo, ma più attento a ciò che hai da dire).

Quindi, se la tua esigenza è quella di parlare a più persone possibile, meglio la Pagina Facebook, se hai intenzione di creare uno zoccolo duro di lettori, allora vira sul blog.

mercoledì 7 marzo 2018

Ha senso aprire un blog?

Sì.

E qui potrei fermarmi, però il post di questa settimana sarebbe davvero troppo corto.

I blog altro non sono che uno dei tanti strumenti comunicativi a disposizione di questi tempi. Pertanto, nonostante il boom delle piattaforme di blogging sia ampiamente passato, ha comunque senso avere un blog nel 2018.

Perché, e questa è storia, l’arrivo di un nuovo medium non sostituisce il vecchio, ma lo affianca, spesso facendolo mutare più o meno profondamente, nel sistema mediale.

Essendo il blog uno strumento, varia a seconda dell’utilizzo che se ne fa.

Quando ho deciso di riprendere in mano Pagina Bianca, ad esempio, l’ho fatto soprattutto per un motivo: darmi delle scadenze per scrivere con una certa regolarità.

Avrei potuto optare anche per un social network, ma se lo avessi fatto i post si sarebbero persi nel flusso e non sarebbero stati facilmente consultabili.

Avevo bisogno di un archivio pubblico di ciò che scrivo, per misurare la mia costanza e, in alcuni casi, rileggere quanto scritto.

mercoledì 28 febbraio 2018

Il giusto tempo per la scrittura: Slow-writing

Esco ogni mattina intorno alle 8:20 per andare in ufficio. Rientro a casa, se tutto va bene, alle 18:40.

Dal lunedì al venerdì.

Tra cena, preparazione del pranzo per il giorno seguente e fisiologico riposo, il tempo per scrivere è risicato.

Da qualche settimana, ho fatto una scelta abbastanza ostica per me: tagliare e rimandare un bel po’ di progetti. Non ce la facevo a stare dietro a tutto, per cui mi son detto “meglio pochi ma buoni”.

Per la scrittura ci vuole il giusto tempo. La vena creativa che ti prende, si impossessa di te e ti fa sfornare il capolavoro credo sia una cazzata.
Oppure, e la cosa non mi stupirebbe affatto, ce l’hanno solo pochi miracolati.

Noi umili mortali, come per ogni lavoro e ogni disciplina, dobbiamo studiare, seguire le regole, gli schemi collaudati dei grandi maestri.

Dopo la grande intuizione, l’idea geniale, il colpo di scena che tanto ci è piaciuto, c’è tutto il resto. La costruzione del mondo narrativo, la profondità dei personaggi, il realismo dei dialoghi e un milione di altre cose.

Per tutto questo c’è bisogno di tempo, del giusto tempo.

mercoledì 21 febbraio 2018

Si può vivere di scrittura?

Sì, io lo faccio.

Sono uno scrittore? No, affatto.

Aspiro a diventarlo? Ogni fottutissimo giorno.

Di scrittori “classici”, ovvero coloro che vivono scrivendo storie per un medium esclusivo (sia esso il libro, il fumetto o l’audiovisivo) in Italia, e nel mondo, ce ne sono pochi.
La ragione principale è molto banale: sono in pochi a vendere così tanto da giustificare uno stipendio regolare.

Lo scrittore “non esclusivo” non è un eccezione, ma la regola.

Come dicevo all’inizio, io vivo di scrittura. Nel mio lavoro principale la scrittura ha un ruolo primario e di questo sono contento perché conosco e amo tutte le sfumature dello scrivere.

Mi piacerebbe, però, definirmi uno scrittore. Cosa che, allo stato attuale, non sono.

Vivo di scrittura, ma non scrivendo storie.

Ecco, l’obiettivo è ribaltare, nei prossimi anni, quest’ultima frase.

mercoledì 14 febbraio 2018

Il piacere di scrivere

Per me scrivere è, prima di tutto, un piacere.
Poi diventa un bisogno, perché quando una cosa ti fa stare bene, senti la necessità di farla.

Scrivere storie a fumetti è un’aspirazione, un sogno. Come tutti i sogni, il rischio che diventi un incubo è dietro l’angolo.

Per fortuna e purtroppo, infatti, scrivere storie di professione non è un diritto, ma un privilegio. Per questo motivo, se da un lato è giusto e sacrosanto provarci fino allo sfinimento, sbattere la faccia davanti ad un incalcolabile numero di “no”, arriverà il momento in cui prendere coscienza di ciò che si è.

Qui, in questo preciso momento, il sogno rischia di fagocitare ogni cosa e trasformarsi in un incubo.

L’unico modo che ho trovato sinora per uscire dall’incubo, è quello di tornare alle origini, alla ragione primaria per la quale scrivo.

Al primo rigo di questo post.

mercoledì 7 febbraio 2018

Cos'è il blocco dello scrittore?

Il blocco dello scrittore non esiste.

“Gli scrittori scrivono tutto il giorno. È ok, non è da tutti. Ma se ti ritieni uno scrittore, muovi il culo e torna a lavoro”.

Parole di Brian M. Bendis, sceneggiatore, tra gli altri, di Daredevil, Jessica Jones e dei Vendicatori.

Ha ragione, ha dannatamente ragione. 

Se non scrivi è perché non vuoi scrivere. Quella cazzo di pagina bianca, infatti, può essere sempre riempita.

Il mio problema, che spesso riconduco al fantomatico "blocco dello scrittore", è quella cazzo di ossessione verso la supposta perfezione.

"No, non va bene"

"Fa cagare"

"Cazzate, cazzate e ancora cazzate"


Basta.

Ho deciso di tornare all’origine di tutto. Voglio e devo scrivere per il solo piacere di farlo, perché ne ho bisogno.

Perché mi fa stare bene.

Un unico, semplice, imperativo per uscire dal blocco dello scrittore.



martedì 31 gennaio 2017

La brillante dialettica di Gasparri su Twitter

Maurizio Gasparri su Twitter non è nuovo a magre figure.
Più di due mesi fa anche io ho avuto l'onore di essere bannato dall'ex Ministro della Comunicazione, che dimostra ancora una volta, semmai ce ne fosse stato bisogno, di essere la persona adatta per ricoprire quel ruolo ad interim, data la sua vasta competenza in maniera (Attenzione: l'ultima frase contiene sarcasmo).

Tutto nasce dal fatto che l'onorevole soffre della sindrome del tuttologo, pare convinto di dover dire la sua su ogni argomento.
Quando si tratta di prodotti culturali, in particolare di quelli seriali, però, la cosa mi tocca da vicino.
Gasparri ha reputato fondamentale, infatti, fare un'interrogazione parlamentare sul fatto che Rocco Schiavone, personaggio nato dalla penna di Antonio Manzini ed interpretato sul piccolo schermo da Marco Giallini, si faccia le canne e dica parolacce.

Dopo aver letto la notizia, vado sul profilo del senatore e mi imbatto in un suo motivato, competente e attento giudizio su un'altra fiction italiana: The Young Pope.
Questo il prezioso contributo dell'illuminato senatore:



Dato l'altissimo livello di analisi effettuata da Gasparri, la mia reazione è spontanea.


A questo punto accade l'inaspettato, il rispettabile membro di Forza Italia mi risponde! 

p.s. Ho utilizzato la parola "membro" in automatico. Volendo può riportare al membro maschile e sottintendere che Gasparri sia una testa di cazzo. Non l'ho detto io, eh!





12 parole per smontare tutto ciò che ho studiato in 5 anni (e più, perché su certi temi l'aggiornamento è necessariamente continuo) di università.
1) Gasparri dice la verità. Non si discute, non c'è possibilità. Lui è il custode dell'unica Verità.
2) "Avrai tu il problema di farti notare". Com'era? "Specchio riflesso, culo nel cesso!". Piuttosto che rispondere sul merito, mi rinfaccia la stessa cosa. 
3) "#nullità". Non è tanto il fatto che mi abbia dato della nullità, perché come gli ho scritto per me è un complimento detto da lui, la cosa che mi lascia perplesso è l'utilizzo dell'hashtag. Perché? Si parlava di altro. È evidente che l'onorevole non sappia cosa siano e come si utilizzino gli hashtag, basta dare un'occhiata alla prima immagine caricata su questo pezzo o a uno qualsiasi dei suoi tweet. Se vi va (io non posso), consigliategli la mia guida al corretto utilizzo degli hashtag.
4) Andiamo sul contenuto. Gasparri ha serie difficoltà a distinguere tra fiction e realtà. A quando un'interrogazione parlamentare sul fatto che, in alcuni cartoni animati film, gli animali parlano?
5) Da un ex Ministro della Comunicazione, mi aspetto un certo livello di discussione, il Nostro, invece, termina così:


E mi blocca. Ennesima offesa personale e chiusura totale del discorso. 

Applausi.