Però, riflettendoci, mi ha anche tolto qualcosa: la felicità.
Come accennavo la settimana scorsa, infatti, se penso alla felicità come a un senso di appagamento totale, allora questa non esiste.
Credo che, per quanto mi riguarda, mi sia stata portata via dai supereroi e dal mio amore per loro.
I supereroi mi hanno fatto crescere con il mito del self-made man, della rivincita dei deboli, delle cocenti sconfitte che diventano le basi per i migliori successi.
Il supereroe, in qualche modo, lotta sempre per farcela. È una sua caratteristica intrinseca, è ciò che lo rende super.
Subisce sconfitte.
Perde persone care.
Vede amici che diventano nemici e viceversa.
Ma non molla mai.
Non smette mai di credere nella sua causa, anche se questa non avrà mai fine, perché bene e male sono come yin e yang: uno non può esistere in assenza dell’altro.
Inconsciamente, forse, adatto la forma mentis del supereroe al mio quotidiano.
Se il supereroe salva una vita non può fermarsi e festeggiare, perché altri potrebbero essere in pericolo; allo stesso modo, se ho un lavoro che mi piace, non posso fermarmi perché vorrei di più, e anche altro.
Quindi, alla fine, ho fatto male a leggere e ad appassionarmi così tanto?
No, per nulla.
Nessun commento:
Posta un commento